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Grillo in Val Susa

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Difficile dire se la piazza stracolma di Susa, giovedì scorso, sia stato più un appuntamento di massa del movimento No Tav o una delle numerose e partecipate tappe del giro elettorale di Beppe Grillo. Certo, a differenza delle altre, questa è stata un incontro tra due realtà, diciamo così, ben note l’una all’altra. Nessun “andiamo a vedere” cosa offre – nella desolazione generale di questa tornata elettorale – il comico, da parte di individui isolati che in piazza scoprono poi con gioia di non essere proprio pochi e anzi di nutrire una passione forse condivisibile. Ma anche ben consapevole, Grillo, di rivolgersi a un soggetto collettivo, eterogeneo e collettivo, al quale il M5S deve molto della sua spinta ideale, molto del suo attuale se puede.

Nulla di nuovo, dunque? Non proprio. Grillo ha chiesto alla piazza No Tav di ascoltarlo questa volta su di una proposta sua e di affrontare insieme -con il peso che il movimento ha saputo acquisire in questi anni- un passaggio politico a scala nazionale. Più che i singoli elementi di un programma ancora poco lineare, importa il cuore della proposta grillina: farsi comunità di cittadini per sbaraccare chi si sta letteralmente mangiando e svendendo il paese. Un discorso dunque di “potere”.

In termini di mobilitazione prevalentemente elettorale, certo, ma almeno per ora senza compromessi. Senza le mani in pasta nel “sistema”, quello oramai strettamente intrecciato dei partiti, tutti, e della finanza.

Richiamando la partecipazione e non la delega della rappresentanza partitica e sindacale. E dove la politica, ultimo ma non meno importante, deve tornare a essere un “servizio” e non una professione su cui lucrare. Anche solo rispetto a passate proposte della sedicente sinistra radicale c’è una differenza essenziale essendo quella sinistra rotta a priori alle alleanze “compatibili”.

Si può discutere del programma di Grillo, e va fatto, lo si può plausibilmente ritenere confuso se non contraddittorio per obiettivi strumenti prospettive. Ma è indubbio che la mobilitazione grillina è l’unica vera novità di queste spente elezioni, che essa raccoglie a suo modo istanze radicali di insoddisfazione che si agitano nel profondo trasversalmente ai diversi strati sociali, a partire da un ceto medio “cognitario” a rischio passando per la piccola imprenditoria fino agli strati proletari. Insomma, il grillismo porta avanti un discorso di riforma del sistema -un mercato più equo che offra davvero opportunità a tutti, una politica effettivamente democratica- che la sinistra istituzionale, più o meno moderata, ha nei fatti completamente lasciato cadere. Ne sa qualcosa il movimento No Tav…

Molte di queste istanze non sono estranee al sentire profondo e comune del movimento. Basta pensare al tema dei beni comuni o delle competenze. Il No Tav però – elemento essenziale – le ha sapute agire, a più riprese e in condizioni non facili, giocandola propria legittimità contro la “legalità” dello stato, costruendo legami cooperativi quali solo una lotta vera sa stabilire. Che è poi anche stato il vero rimedio alle scottature nelle relazioni con quei “politici” che al movimento si siano strumentalmente avvicinati. Anche l’esigenza di un esplicito passaggio a scala nazionale è ben presente almeno dalla battaglia del 3 luglio 2012 a Chiomonte: contrastare sul campo, con l’azione diretta, ogni avanzamento del cantiere e al tempo stesso rompere l’isolamento della valle, allargare la questione grandi opere al nodo debito, lavoro, crisi globale.

Con questo non si vuole affatto cauzionare in qualche modo Grillo, tanto meno la dinamica futura del suo movimento. Fin d’ora si può guardare al caso Parma per esser certi che limitandosi alla stretta sfera istituzionale e alla prassi legalitaria nessun obiettivo significativo potrà essere raggiunto. O non è vero che Pizzarotti, ma sarebbe lo stesso per il miglior grillino al “governo”, non può far altro che adeguarsi al giudizio delle agenzie di rating sulle finanze locali e chinarsi davanti allo spauracchio delle penali per l’eventuale blocco di grandi opere (inceneritore)?

Con l’ingresso in parlamento di una nutrita truppa, altri nodi cruciali si porranno subito. Non solo e non tanto la presenza probabile degli “scilipoti” insinuatisi nelle liste. Soprattutto, la rotta da tenere: assistere, e lucrare, al suicidio garantito di Pd-Sel autoconsegnatisi a Monti, o seguire la linea di “pragmatici accordi” col centro-sinistra (come già qualcuno alla Lerner consiglia) salvo poi essere risucchiati e pagarla cara sull’essenziale?

È questo solo uno dei risvolti di una più generale dinamica sociale-elettorale sottesa al successo del grillismo. Che sta facendo da cerniera tra i rassegnati-impauriti e i rancorosi. Tra i primi, la base elettorale del Pd e in genere chi voterà con lo spauracchio “Grecia” come retropensiero -il vero slogan della campagna Monti- sperano che la sponda “progressista” del futuro governo con il professore come azionista di maggioranza possa almeno rendere un minimo più “equi” gli ulteriori sacrifici in vista. Tra i secondi, quella parte dei ceti medi che seppur privata del “sogno” berlusconiano o leghista non vuole cedere nulla di quanto accumulato scaricando sugli altri settori tutti i costi della crisi.

Il grillismo si muove a scorrimento raccogliendo, e riattivizzando, tra i delusi di entrambi gli schieramenti. Ma come raccoglie così può facilmente cadere sul terreno scivoloso dell’”inevitabile” ridimensionamento delle aspettative degli uni, o su quello del rancore nazionalistico (antitedesco?) degli altri.

Il nodo di fondo resta uno: senza un’effettiva e ampia mobilitazione sociale che sappia rompere gli “schemi” non sarà possibile portare avanti neanche un “programma minimo”. Ma un grillismo che si fermi su questa soglia avrà portato acqua al mulino altrui, sui due versanti che si diceva.

Sarà l’evolversi della crisi e delle lotte a definire e determinare le diverse opzioni. A chi ha a cuore il movimento No Tav ma più in generale una prospettiva di società diversa, grillino o non grillino, preme una cosa: non disperdere le energie, quelle delle lotte e su un diverso piano quelle che di volta in volta si ravvivano in questo o quel “contenitore”. Ma abbiamo anche imparato che il conflitto nell’indisponibilità alle mediazioni se non è tutto, è sempre e comunque la premessa senza la quale tutto il resto si dissolve come neve al sole. E a volte anche in fretta.

 

di Raffaele Sciortino