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I confederali si schierano a fianco dei Cobas: alcune domande sono di dubbia utilità

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Le prove Invalsi sono terminate, il ministro Gelmini vuole estenderle anche alla Maturità ma la polemica resta. Si discute su tutto, innanzitutto sulle percentuali di partecipazione ai test. L’Invalsi ha annunciato che il test ha coinvolto circa 4.800 scuole e 24.800 classi, di cui oltre 2.300 andranno a costituire il campione su cui effettivamente verrà realizzata l’analisi successiva. 

Secondo l’Invalsi più del 98% delle classi campione hanno inviato i dati. Insomma un successo per il ministero dell’Istruzione e per l’Istituto che ha realizzato le prove, a dispetto di una forte campagna di boicottaggio voluta dai Cobas. In realtà anche il sindacato autonomo si dice soddisfatto della protesta e dei risultati ottenuti. Almeno il 20% della categoria e degli studenti – sottolinea Piero Bernocchi, portavoce nazionale dei Cobas – si è sottratto a ricatti e minacce». 

Secondo Bernocchi il dato del 98% di adesione diffuso dal Miur è «ridicolo» perché si riferisce solo alle classi-campione, con circa 50 mila studenti, dove i quiz sono stati gestiti dagli ispettori ministeriali. «E’ tra gli altri 2 milioni e 150 mila che si è svolta la protesta – sottolinea – e alle medie e alle elementari le cifre sono state minori perché molti Collegi avevano deliberato ad inizio anno o perché i quiz Invalsi sono stati imposti come obbligatori alla prova di Terza Media, ma comunque il malcontento è stato diffusissimo». In effetti persino i professori che hanno partecipato alla somministrazione o quelli che sono convinti della bontà delle prove Invalsi per valutare studenti, prof e scuole, hanno numerose critiche da rivolgere ai test e sostengono che molto c’è da fare per migliorare l’iniziativa.

E, pur non avendo preso parte alla campagna di boicottaggio dei Cobas, anche gli altri sindacati si sono schierati contro i test. Per la Flc Cgil Flc Cgil «il criterio di un serio sistema di valutazione non può essere solo quello dell’apprendimento finale». Massimo Di Menna, segretario generale della Uil scuola, ha chiesto un incontro con il ministro dell’Istruzione.

Esistono ancora molti problemi, avverte: «La prima cosa che balza agli occhi è che l’Italia spende 1/5 di quanto spende la Francia. La seconda – fa notare Di Menna – è il metodo seguito: a dicembre il ministero ha comunicato che si sarebbero fatti i test, limitandosi a inviare alle scuole due circolari. Il resto è scaricato sulle scuole e sui docenti». «Non più del 20% delle scuole – continua il sindacalista – ha effettuato azioni propedeutiche ai test e in alcune scuole la professionalità degli insegnanti è stata considerata al pari dei passacarte.

Va poi rilevato che alcune domande dei questionari sono di dubbia utilità». Nel frattempo i Cobas insistono. Hanno annunciato uno sciopero degli scrutini a metà giugno per chiedere anche «la fine della pratica illegale dei quiz Invalsi».

FLAVIA AMABILE   –   ROMA

Fonte: www.lastampa.it