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La Cassaziane: “danno esistenziale per il demansionamento di un lavoratore”.

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Con la sentenza n. 3057 del 29 febbraio 2012, la Cassazione, confermando il decisum della sentenza impugnata, ha riconosciuto il diritto alla liquidazione del danno biologico e di un ulteriore danno non patrimoniale al dipendente, quadro direttivo, dirottato dal datore di lavoro da una funzione con compiti operativi a un incarico meramente formale, a nulla rilevando l’equipollenza delle qualifiche richieste per entrambi i posti e risultando invece decisivo il carattere meno prestigioso delle mansioni richieste al lavoratore nella nuova collocazione.

Nella fattispecie portata all’attenzione della Corte, il giudice del merito aveva riconosciuto il demansionamento di un dipendente di banca passato dalla titolarità di un’agenzia operativa a quella del Monte dei pegni della banca stessa, ritenendo che i compiti di direttore di un’agenzia operativa avessero un contenuto ben più qualificante dell’attività di direzione del Monte dei pegni, con conseguente pregiudizio per il lavoratore, risarcito sotto il profilo del danno non patrimoniale.

Copiosa giurisprudenza della Corte ha riconosciuto, in ipotesi di demansionamento, il diritto del lavoratore al risarcimento, oltre che del danno professionale, cioè del danno patrimoniale che deriva dall’impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità ed eventuale perdita di chance, anche del danno biologico o esistenziale, ovvero danni non patrimoniali, che attengono al fare reddituale del soggetto. In argomento, anche la Corte costituzionale, con una sentenza risalente al 2004, ha affermato che «laviolazione dell’obbligo di adibire il lavoratore alle mansioni cui ha diritto (demansionamento) arreca danni alla sua professionalità intendendosi con essa il complesso delle capacità e attitudini del lavoratore. Tale danneggiamento provoca compromissione delle aspettative del lavoratore, danni alla persona e alla sua dignità…». Sul fronte dei danni non patrimoniali, le sezioni Unite hanno poi precisato che per «danno esistenziale», in materia, deve intendersi il danno all’identità professionale sul luogo di lavoro, all’immagine e alla vita di relazione e, più in generale, la lesione del diritto del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro. Si tratta, in particolare, dell’alterazione delle abitudini di vita e degli assetti relazionali del lavoratore, il quale viene privato di occasioni per l’espressione e la realizzazione della sua personalità nel mondo esterno.

In tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale, che asseritamente ne deriva, non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. Mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale è da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno ed esso va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni. Viceversa, la risarcibilità del danno biologico si sottrae alla prova testimoniale, documentale o presuntiva, giacché essa presuppone l’accertamento medico-legale, mentre la sua quantificazione avviene in base ad un sistema tabellare, senza necessità alcuna di precise indicazioni e allegazioni ad opera del danneggiato.