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La gerontocrazia al potere: il triste primato di un Paese condannato al declino

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di Massimo Ragnedda

 Il nostro premier ha compiuto 75 anni. È di gran lunga il leader più vecchio d’Europa (almeno sui numeri saremo tutti d’accordo). Il paese è guidato da un ultra settantenne, ha un presidente della repubblica ultra ottantenne e ha un’intera classe politica (maggioranza e opposizione) vecchia: politicamente e anagraficamente. In uno dei momenti più difficili della sua storia, dinanzi ad una crisi senza precedenti e proprio mentre il Paese avrebbe bisogno di forze fresche, di giovani rampanti pronti a mettersi in gioco e a dare il loro contributo, l’Italia è governata da vecchi pensionati. Con tutto il rispetto per i pensionati. E per i vecchi.

Ma non è un problema solo della classe politica, ma più in generale di tutta la classe dirigente. Manager d’aziende, intellettuali, politici e dirigenti: l’Italia è una Repubblica fondata sulla gerontocrazia, dove tutti i posti di potere sono occupati da anziani. Tutti.

L’Italia ha bisogno di energia nuova per rimettersi in corsa, mentre le nuove energie scappano all’estero. L’Italia ha, tra i paesi occidentali, uno dei più alti tassi di emigrazione intellettuale e scientifica. Detto in altri termini: i migliori vanno via. Una classe dirigente che si lascia sfuggire i migliori è una classe dirigente miope. L’Italia è condannata al declino.

Un caso emblematico è il mondo accademico italiano dove, spesso, è molto più importante l’età del curriculum. A dirla tutta, spesso è più importante chi conosci che cosa conosci. Ma questa è un’altra storia, sempre tutta italiana.

Ho da poco sentito un mio collega austriaco: ha la mia età (35 anni) ed è diventato direttore di Dipartimento in una università scandinava. È stato scelto per il suo curriculum (è obiettivamente bravo) e non per la sua età o per le sue “amicizie”. Sfido chiunque a trovare in Italia un direttore di Dipartimento che abbia meno di 40 anni.Da noi a questa età ti chiamano ancora “giovane ricercatore” e spesso, come nel mio caso, non solo non sei più tanto “giovane” ma non sei neanche ricercatore (di ruolo), ma sei un precario con un futuro più che incerto.

Il mio amico austriaco, grazie al suo curriculum, è diventato “Professor and Chair”, grosso modo l’equivalente italiano di Professore Ordinario. Secondo l’undicesimo rapporto sullo Stato del sistema universitario, presentato dal CNVSU (Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario), soltanto il 15% dei professori ordinari ha meno di 51 anni, mentre il 50% ha più di 60 anni (gli over 65 sono circa il 20%). Non va meglio per gli associati: solo un professore associato su 20 ha meno di 41 anni. Per intenderci: solo il 5% dei professori associati ha meno di 41 anni.

È l’età media dei docenti (ordinari e associati) e dei ricercatori nel suo complesso ad aumentare: per i professori ordinari l’età media è diventata di 59 nel 2010, mentre era di 54 nel 1988; quella degli associati è diventa di 53 anni mentre nel 1988 era di 47, e infine quella dei ricercatori è diventa di 45 anni mentre nel 1988 era di 39.  

L’età media dei docenti italiani (compresi i ricercatori) cresce sempre di più ed è una delle più alte al mondo. Restringendo il campo all’Europa, e solo per citare qualche esempio, in Spagna l’età media dei docenti è di 44 anni, in Germania e Portogallo di 42 e in Turchia è di 38. Continuando sempre con i numeri: in Francia il 21% dei docenti è under 34: ovvero un docente su 5 ha meno di 34 anni; in Inghilterra è del 27% e in Germania del 32%. In Turchia gli under 34 sono addirittura più del 40%.

Non diversamente vanno le cose per la classe politica dove, secondo il rapporto Luiss 2008 sulla classe dirigente, il 60% dei politici italiani ha più di 70 anni. Anche qui il paragone con l’estero ci permette di capire meglio le differenze. Tony Blair viene eletto parlamentare a 30 anni e diventa leader del partito laburista a 41 e tre anni dopo diventa premier. L’attuale leader laburista, Ed Miliband, ha 41 anni (Bersani ne ha quasi 20 in più) e il premier inglese Cameron ne ha 45 (Berlusconi ne ha 30 in più). Nel resto d’Europa la situazione non è molto diversa: Nicolas Sarkozy ne ha compiuti 56, Zapatero ha 51 anni, e Angela Merkel ne ha compiuto 57. Obama, per guardare oltre oceano, di anni ne ha appena compiuto 50 (25 in meno di Berlusconi).

 

Infine, stesso discorso potrebbe essere fatto per le altre cariche. Nel mondo dell’imprenditoria italiana, ad esempio, la presenza degli under 30 è, negli ultimi anni, diminuita significativamente, mentre è aumentata, nei consigli di amministrazione societari, la quota degli over 70.  Ai giovani non resta che fuggire, schiacciati dalla presenza ingombrante di una classe dirigente vecchia e miopie. Insomma, detto tra noi, l’Italia non è un paese per giovani.

Ma davvero crediamo che ministri come la Gelmini ci possano tirare fuori dalla crisi?

L’ennesima figuraccia della Gelmini, un ministro scelto per caso, sulla scoperta dei neutrini è la riprova di una classe dirigente incompetente e non all'altezza dei compiti e della situazione. Quella figuraccia internazionale getta una cupa ombra sulle nostre istituzioni e sulle modalità di reclutamento della classe dirigente.

Un tempo i ministri, i consiglieri, i consulenti, erano scelti tra i migliori. Proprio come una squadra: per ogni ruolo si sceglie il migliore. L’allenatore di una squadra non si sognerebbe mai di selezionare e far giocare un pessimo giocatore. Invece, la nostra squadra di governo è composta da persone nominate non per vincere, ma semplicemente per fare una squadra e tenere in piedi un governo fine a se stesso. Mentre l’Italia precipita giù. Chi può tirarci fuori dalla crisi? Scilipoti? Romano? Consentino? Milanese? E l’elenco sarebbe lungo e, ahimè, tristemente noto.

Chi ci può preparare per le grandi sfide internazionali? La Gelmini? Quella che crede ad un tunnel di 750 Km che dal Cern raggiunge il Gran Sasso? Stiamo parlando di un avvocato prestato a fare il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Con tutto il rispetto: ma dove vogliamo andare? Il suo curriculum gira in rete ed è imbarazzante. Eccone uno stralcio: cambia 3 licei (l’ultimo privato), si laurea 3 anni fuoricorso con la votazione di 100, la sua tesi è stata valutata meno di 1 punto e il suo relatore la considera una fannullona. Come è diventata avvocato? Facendo l’esame di stato a Reggio Calabria dove lo passavano (quasi) tutti. Sarà almeno brava e competente in politica? Macché: nel 2000 viene sfiduciata da presidente del consiglio comunale per inoperosità (delibera del consiglio comunale n. 33 del 31/03/2000). In breve è questo il suo curriculum: chi vuole saperne di più può cercare in rete.

Il punto però sul quale voglio riflettere è un altro. Può un ministro del genere guidarci in momenti così difficili? Può una persona con questo curriculum e con queste (in)competenze guidare un ministero così importante come quello dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca? Un ministero, è bene ribadirlo, strategico per lo sviluppo dell’intero Paese Italia.

Tra 8 anni (ovvero entro il 2020) più di un terzo dei posti di lavoro nei paesi dell’Unione Europea richiederà una laurea. La media europea è oggi del 26 percento a differenza del Canada che è del 50%, del Giappone 44% e Stati Uniti 41%. E l’Italia? Lo dico subito: non siamo ultimi, dietro di noi c’è la Romania e Malta. Siamo terzultimi. Una piccola soddisfazione di questi tempi. La percentuale dei laureati italiani è del 15% ben lontano dalla media europea e ben lontano da quel 35% che sono i posti di lavoro che richiederanno la laurea. Le future generazioni rischiano di essere tagliate fuori dal mondo del lavoro.

Gentile Ministro come credere di agire per colmare questo gap (ammesso che conosca il problema)? Quali sono i piani di investimento e strategie messe in campo per raggiungere questo risultato? C’è solo un modo (mi permetto io di suggerirle una soluzione): investimenti pubblici e privati nell’Università. In media l’Europa investe l’1,3% del loro prodotto lordo (negli Stati Uniti, per intenderci, si spende il 2,7% e nonostante la crisi non si pensa minimamente di tagliare in questo settore strategico).In Danimarca si spende il 2,27%. E in Italia? Lo dico subito non siamo ultimi, ma penultimi. Dietro di noi solo la Slovacchia che investe l’1,06% contro il nostro ragguardevole 1,08%.

Questa è una sfida molto importante e delicata per le future generazioni: si tratta di pianificare il loro futuro. Si tratta di un investimento a lungo termine e ci vorrebbero esperti con una visione seria e pragmatica, che vadano oltre il proprio naso, cosa che francamente il ministro dell’Istruzione non mi pare essere. Dalle decisioni che oggi il governo assume dipende il futuro dei giovani italiani. Ma con tutto il rispetto, non credo il ministro Gelmini abbia chiaro in mente cosa fare. Ed è questo ciò che più di tutto mi preoccupa.

 

 

di Massimo Ragnedda

Fonte www.tiscali.it