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Piergiovanni Alleva: Articolo 18, attenti alle false mediazioni

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Nel con­flitto, sem­pre più aspro, sull’abolizione dell’art. 18 ossia del rein­te­gro nel posto di lavoro in caso di ille­git­ti­mità dei licen­zia­menti, sta arri­vando l’ora di più o meno occulti ten­ta­tivi di media­zione, che vedono pro­ta­go­ni­sti, dalla parte dei “buoni”, soprat­tutto gli espo­nenti della “sini­stra” del par­tito democratico.

Ciò che ci pro­po­niamo con que­sto e con even­tual­mente suc­ces­sivi inter­venti sul mani­fe­sto è di spie­gare la sostanza vera delle pro­po­ste di media­zione che ven­gono affac­ciate, il loro carat­tere quasi sem­pre ingan­ne­vole ed illu­so­rio e gli errori giu­ri­dici mador­nali (soprat­tutto vizi di inco­sti­tu­zio­na­lità) che spesso in essi si anni­dano, ma anche di indi­care pos­si­bili per­corsi alter­na­tivi e positivi.

1) Una prima pro­po­sta di media­zione, a cui sono sem­brati, in prin­ci­pio, favo­re­voli uomini poli­tici come Chiam­pa­rino e Cuperlo è quella di lasciare l’art. 18, ossia il rein­te­gro, in caso di licen­zia­menti nulli, per­ché adot­tati per motivi discri­mi­na­tori e, invece, di sosti­tuirlo con un risar­ci­mento nel caso di licen­zia­menti disci­pli­nari e per motivo ogget­tivo (ovvero economico-produttivo).

Affer­miamo che si tratta della clas­sica «falsa media­zione», per­ché la nul­lità del licen­zia­mento discri­mi­na­to­rio è nella costi­tu­zione e nella legi­sla­zione euro­pea e un licen­zia­mento nullo non può risol­vere un rap­porto di lavoro.

Peral­tro, il divieto di licen­zia­mento discri­mi­na­to­rio è, sì, un prin­ci­pio sacro­santo, ma ha pochis­sima rile­vanza pra­tica, per­ché dimo­strare il motivo discri­mi­na­to­rio è onere del lavo­ra­tore, e la dimo­stra­zione risulta, in con­creto, quasi impos­si­bile (vedi l’articolo di ieri di Giu­lia Siviero, ndr), tanto più che una larga cor­rente giu­ri­spru­den­ziale pre­tende che il motivo discri­mi­na­to­rio sia «unico» (ren­dendo dop­pia­mente ardua quella «prova diabolica»).

La vera effi­ca­cia «anti­di­scri­mi­na­to­ria» è, invece, quella con­nessa all’onere del datore di lavoro di pro­vare comun­que che il licen­zia­mento si fonda su un giu­sti­fi­cato motivo, ogget­tivo o soggettivo.

Biso­gna capire lo schema logico-giuridico: il licen­zia­mento deve indi­care obbli­ga­to­ria­mente un motivo sog­get­tivo o ogget­tivo e, dun­que, il datore di lavoro Caio indica tale motivo.
Il lavo­ra­tore Tizio impu­gna il licen­zia­mento, non solo per­ché ingiu­sti­fi­cato, ma anzi­tutto – afferma Tizio – per­ché dovuto in realtà a discri­mi­na­zione poli­tica e/o sin­da­cale. Tut­ta­via, Tizio non rie­sce poi a com­pro­vare quell’intento discri­mi­na­to­rio, ma poi­ché nean­che il datore Caio rie­sce, da parte sua, a dimo­strare che il licen­zia­mento è giu­sti­fi­cato da un motivo disci­pli­nare o eco­no­mico– pro­dut­tivo, il licen­zia­mento è comun­que annul­lato e Tizio viene reintegrato.

Se si toglie que­sta seconda parte, e si con­sente che il datore, che non dimo­stra il giu­sti­fi­cato motivo, se la cavi con un risar­ci­mento mone­ta­rio, il rein­te­gro e l’art. 18 in pra­tica non esi­stono più. Così la pre­tesa «abo­li­zio­ni­sta» di Renzi si rea­lizza non in parte, ma in realtà al cento per cento.

2) Durante la recen­tis­sima dire­zione del par­tito demo­cra­tico del 29 set­tem­bre scorso è sem­brato che Renzi abbia, tut­ta­via, fatto un passo avanti. Pro­po­nendo che l’art. 18, e cioè il rein­te­gro, resti non solo per i licen­zia­menti discri­mi­na­tori, ma anche per quelli disci­pli­nari risul­tati privi di giu­sta causa o giu­sti­fi­cato motivo.

È impor­tante com­pren­dere allora la grave insi­dia che nasconde que­sto appa­rente pro­gresso e che è costi­tuita dalla libe­ra­liz­za­zione, per con­verso, espli­cita o impli­cita, dei licen­zia­menti per giu­sti­fi­cato motivo ogget­tivo (o economico-produttivo), per i quali sarebbe allora pos­si­bile solo il risar­ci­mento dei danni o, secondo una variante vera­mente per­fida (Ichino), un risar­ci­mento pagato a for­fait senza più pos­si­bi­lità nean­che di rivol­gersi al giudice.

Tutti com­pren­dono che in un sistema squi­li­brato di que­sto genere i datori di lavoro «eti­chet­te­reb­bero» sem­pre i licen­zia­menti come dovuti a un motivo ogget­tivo, onde sfug­gire siste­ma­ti­ca­mente al peri­colo della san­zione del rein­te­gro, con­qui­stando così la mano libera nei con­fronti dei dipendenti.

Non vi è a ben vedere nulla di nuovo, per­ché la stessa situa­zione pro­ble­ma­tica si pre­sentò ai tempi della riforma For­nero e la media­zione (al ribasso) la fece l’onorevole Ber­sani.
Il rein­te­gro è stato man­te­nuto (art. 1, comma 47, legge 92/2012) ma solo per il caso di «mani­fe­sta insus­si­stenza del fatto posto alla base del licen­zia­mento per giu­sti­fi­cato motivo ogget­tivo», appli­can­dosi altri­menti solo il risar­ci­mento. Poi­ché è assai dif­fi­cile sta­bi­lire quando la insus­si­stenza del motivo sia «mani­fe­sta», la media­zione si è rive­lata fra­gile e i licen­zia­menti per «sup­po­sto motivo ogget­tivo» in que­sti due anni si sono mol­ti­pli­cati, pro­prio come pre­vi­sto. È chiaro, peral­tro, che se non vi fosse più nean­che quel mode­sto argine, che la pro­po­sta Renzi vuole abo­lire, i licen­zia­menti per sup­po­sto motivo ogget­tivo, senza rein­te­gro, diven­te­reb­bero la regola assoluta.

Biso­gna, dun­que, ben guar­darsi dalla pro­po­sta appa­ren­te­mente com­pro­mis­so­ria di Renzi, che ancora una volta fini­rebbe per abo­lire il rein­te­gro per tutti i licen­zia­menti adot­tati in con­creto, e pre­sen­tare sem­mai una pre­cisa con­tro­pro­po­sta per la disci­plina dei licen­zia­menti per motivo oggettivo.

Biso­gna pre­ve­dere, anzi­tutto, che siano ille­git­timi quelli «spe­cu­la­tivi», in cui il lavo­ra­tore viene licen­ziato non già per ridu­zione dell’attività ma per mag­gio­ra­zione del pro­fitto, come avviene quando il suo carico lavo­ra­tivo, che in con­creto rimane, viene sem­pli­ce­mente addos­sato come carico aggiun­tivo ai col­le­ghi super­stiti ovvero ester­na­liz­zato a ope­ra­tori «più eco­no­mici» (appal­ta­tori o coo­pe­ra­tive, ecc.). Biso­gna, in paral­lelo, intro­durre la regola dell’«ultima ratio» ossia che il licen­zia­mento per motivo ogget­tivo possa essere ema­nato solo dopo l’utilizzazione e l’esaurimento degli ammor­tiz­za­tori sociali con­ser­va­tivi (cig, con­tratti di soli­da­rietà), per­ché ciò auto­ma­ti­ca­mente sdram­ma­tiz­ze­rebbe il problema.

3) Altre pro­po­ste di media­zione ven­ti­late da parte gover­na­tiva sono carat­te­riz­zate dall’odioso intento di ridurre il lavo­ra­tore ad un cit­ta­dino di serie B impe­den­do­gli di rivol­gersi ai giu­dici della Repub­blica e sono, per capirsi, le pro­po­ste uni­fi­cate dal vol­gare slo­gan ren­ziano «il Giu­dice non deve met­terci becco», che è stato poi decli­nato in due versioni:

a) In una prima ver­sione, il licen­zia­mento è impu­gna­bile solo davanti a un col­le­gio arbi­trale, al fine – a quanto si com­prende – di otte­nere un mero risar­ci­mento mone­ta­rio. Ma la nostra Costi­tu­zione, a dispetto degli esperti gover­na­tivi — evi­den­te­mente igno­ranti — non con­sente che un diritto trovi tutela solo davanti a giu­dici pri­vati (arbi­tri), e non a giu­dici della Repub­blica: si veda tra le altre la chia­ris­sima sen­tenza della Corte Cost. 8 giu­gno 2005, n. 221.

b) Nella seconda ed estrema ver­sione, salvo il solo caso del quasi indi­mo­stra­bile licen­zia­mento discri­mi­na­to­rio, il licen­zia­mento in gene­rale tor­ne­rebbe a essere sem­pli­ce­mente non impu­gna­bile, come avve­niva prima della Legge 15 luglio 1966, n. 604, e l’amputazione del diritto del lavo­ra­tore di far valere l’insussistenza di un giu­sti­fi­cato motivo ogget­tivo o sog­get­tivo ver­rebbe com­pen­sata con il paga­mento, in via auto­ma­tica, di una sorta di Tfr aggiuntivo.

Quel che si propone, in sostanza, è un balzo all’indietro di cinquanta anni.

Ma da quel tempo, dai primi anni ’60, molta acqua è pas­sata sotto i ponti, in Ita­lia e in Europa, e il prin­ci­pio della tutela con­tro i licen­zia­menti ingiu­sti­fi­cati è stata pre­vi­sto anche dall’art. 30 della Carta di Nizza rece­pita nell’ultimo Trat­tato UE, ossia nel Trat­tato di Lisbona.

Tutti com­pren­dono che se deve essere data una tutela con­tro i licen­zia­menti ingiu­sti­fi­cati, ciò signi­fica che deve esi­stere anche un giu­dice che dica se il licen­zia­mento è giu­sti­fi­cato o meno.

Chie­diamo per­tanto a tutti i demo­cra­tici in buona fede di resi­stere alle ten­ta­zioni oppor­tu­ni­sti­che e di venire a Roma  per mostrare a tutti pub­bli­ca­mente da quale parte stanno.