News

Il guardiano dell’idea assoluta

0
0

C’è, in questa riscrittura badiousiana della Repubblica di Platone, un richiamo al “comunismo” come forma di governo, “quinta” oltre le quattro criticate dal fondatore dell’idealismo filosofico: dunque, oltre la Timocrazia (o il governo degli eroi) e l’Oligarchia (dei principi), oltre la Democrazia e la Tirannide (sempre fra loro ciclicamente intercambiabili). Ed è un bel concetto, questo, quasi una innovazione teorica – essa  ha, come molte proposte del post-moderno avuto espressione già in altri episodi della filosofia politica, come nelle varie esperienze democratiche di costruzione di comunità ecclesiali, nel Medioevo o nella Riforma, o nella “democrazia assoluta” spinoziana, o nelle stesse utopie anarchiche e socialiste della modernità. Che un solido Philosophe – ovvero un uomo dei Lumi, come a me pare Badiou – rivendichi quest’ideale, è non solo atteso ma bello. Nel suo libro che non è una trattazione sistematica della Repubblica di Platone, né un semplicemente un ammodernamento del testo, né l’esperienza di un dialogo amoroso del filosofo con Amantea (figura femminile e “repubblicana”, invenzione davvero formidabile) – nel suo libro dunque, la si legge con gioia quest’avventura ideale – solo relativamente appassita da qualche noioso esercizio antiquario.

Ma tentiamo di meglio situare questo lavoro di Badiou. Qui c’è tanto comunismo “alla francese”, un comunismo che congiunge ad un raffinato metodo razionalista, un afflato giansenista e la commozione sensista per una sorta di sublimazione comunitaria. Ma anche – va aggiunto subito – una totale assenza di spirito dialettico, di pratica antagonista e di dispositivi costituenti. Questo comunismo, questa repubblica ignorano la lotta di classe.

Che cosa vuol dire? Significa, prima di tutto, che qui è assente ogni segno di soggettività, meglio, di passione soggettiva. L’ideale comunista è ricercato ma non costruito, l’amore per l’ideale è una contemplazione e non un agire costitutivo – la passione manca. Da questo punto di vista, paradossalmente Hannah Arendt risulta più comunista di Badiou. E la passione latita perché non c’è produzione, né produzione di beni, né produzione di soggettività. Che il comunismo di Badiou abbia poco a che fare con quello di Marx lo si sa da sempre, ma qui manca anche quell’idea di produzione che (pur trattenuta nello battaglia filosofica) Badiou da buon althusseriano, avrebbe dovuto comporre nelle articolazioni della “Teoria”. Non basta ancora: perché così si dissipano anche le sorgenti e le griglie della politica moderna – che si dipanavano nelle forme della produttività della polis. Qui piuttosto si fa un salto, meglio, ci si immerge nell’Ur, nel profondo, in un sorta di “arci-originarietà” (come giustamente nota il curatore del volume”). Il comunismo, che cos’è allora? È un’ontologia ideale. È qualcosa di ideologico e insieme di arcaico, un’utopia fuori dall’agire collettivo, dalla modernità – radicalmente “de-saturato” (come ancora nota il curatore) dalla storicità del movimento comunista, da ogni reminiscenza materialmente e collettivamente rivoluzionaria.

Con questo libro, a mio parere, Badiou perviene ad un rinnovato essenzialismo del suo pensiero. Ad esempio, toglie di mezzo anche la possibilità di “esemplificare l’evento”: in quella tenebra della storicità che Badiou disegna, scompaiono anche il Cristo dei Vangeli, il Napoleone di Hegel, il Mao della O. (così si chiama l’organizzazione comunista dei badiousiani) – scompare quel tanto di simbolico che caratterizzava l’evento. E con gli esempi del passato scompaiono anche quelli dell’avvenire: non si capisce infatti da che lato dell’arci-originarietà dell’idea esso possa sorgere. Il disorientamento nel quale quell’iperbole dell’“evento” ci aveva lasciato, è ora totale – se  non comica.

Se il comunismo non è l’espressione produttiva delle singolarità che si organizzano nel comune, ma è piuttosto un’immersione improduttiva nell’ideale, insorgono alcuni problemi difficilmente solubili. Al rifiuto di considerare il comunismo nella figura di un comune costruito dal lavoro produttivo, attraverso l’organizzazione della cooperazione del lavoro vivo, Badiou non può infatti che sostituire un comunismo nella figura isomorfica, analogica dell’assoluto ideale. Eccoci al punto: il comunismo è “metessi”, partecipazione all’idea, materialità ideale…. E di qui una serie di paradossali coniugazioni di individuo/totalità, libertà/necessità, evento/limite, attualità/infinito…. Dice il commentatore: “il comunismo platonico è in questo senso fedelmente riprodotto in un contro-mito co-originario al gesto filosofico e in grado di cortocircuitare la mitografia spontanea di una diseguaglianza tra gli uomini fondamentale e imprescindibile”. Boh, sarà!! Certo è che quell’isoformismo, quell’analogia ontologica non stavano alla base di quel comunismo “alla” Deleuze che tuttavia Badiou rivendicava come proprio sodale teorico e politico – anzi, ne costituiva la denuncia forte e continua. Ecco un altro elemento di revisione badiousiana.

Per tornare ai punti centrali al commento della Repubblica: colpisce in primo luogo la fretta con la quale Badiou si libera di Trasimaco, il realista politico. Si sa, il cinismo del sofista, quel suo irridere l’idea e di conseguenza l’affermazione che la politica è geometria delle potenze e la giustizia fisica delle forze – sono ipotesi troppo facilmente attaccabili dal filosofo idealista; e tuttavia non sono solo cialtroni e fascisti quelli che ripetono queste opinioni, anzi, fra Tucidide, Machiavelli e Lenin, anche qualche politico democratico radicale o comunista lo fa. Probabilmente il comunismo induce ad una prassi concreta che si pone quel problema piuttosto che considerarlo il frutto di un sofista sozzo e ubriacone, come Badiou descrive Trasimaco. Un secondo punto è quello nel quale il vecchio illuminista Badiou cede, forse alla maniera romantica, nello stringere troppo violentemente la figura del filosofo e quella del “capo politico”, quella del saggio e quella del governante. Attraverso questa strettoia i filosofi son costretti ad organizzare una forza specifica (quella dei Guardiani) per condurre ogni cittadino alla verità, alla saggezza, alla felicità. C’è qui un’idea quasi militare del conseguimento della giustizia. Ne viene, in terzo luogo una specie di totalitarismo politico nel quale la giustizia oggettiva dev’essere capace di aderire alla giustizia soggettiva, e, viceversa, il carattere elitario della partecipazione all’idea (da parte dei filosofi e dei capi) dev’essere reso possibile ed attuale per tutti i cittadini. Facile obiettare che qui si va troppo rapidamente da Platone a Pol Pot, passando per Roberspierre e che la destrutturazione della reminiscenza comunista sembra confondersi con un processo di rimozione di eventi rivoluzionari complessi, nei quali i comunisti hanno dovuto costruire e ricostruire, spesso dolorosamente, dispositivi di sovversione e di governo.

Molto belle sono tuttavia le pagine nelle quali Badiou porta a conclusione il sogno comunista: l’interpretazione dell’apologo platonico della grotta, l’esperienza del grande “cinema cosmico” etc. Dovrebbe essere questo il luogo dove la storia si ricongiunge, in modo “partecipativo”, alla filosofia, all’etica, costruendo così vita vissuta. Anche se nulla di tutto ciò accade, l’incitamento è forte e la retorica efficace. “Ma allora, – interroga Glaucone preoccupato – non ci sarà nessuno a dare vita alla nostra quinta politica? E Socrate: Dipende dal nostro lavoro. Quando dico “noi”, intendo dire i pionieri dell’Idea comunista. Dobbiamo creare le condizioni – perché sappiamo che il pensiero di chiunque vale quanto quello di chiunque – perché le grandi masse si volgano verso il sapere che abbiamo definito fondamentale, quello orientato dalla visione del Vero. Che tutti, con le buone o con le cattive, escano dalla caverna! Che l’anabasi verso la cima soleggiata sia di tutti! E se un’aristocrazia minoritaria raggiunge da sola la vetta e lì gode dell’Idea del Vero, non le permetteremo ciò che è stato permesso praticamente da sempre.” Si capisce, leggendo queste pagine, perché oggi l’opera di Badiou presti talora argomenti nostalgici a coloro che, non sapendo uscire dalla sconfitta del “socialismo reale”, continuano a sognarsi comunisti, pur rifiutando di ricominciare a lottare.

di Toni Negri