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Il patto dell’Europa. Il blocco neoliberale tra attacco al lavoro e diritti civili. Lo spazio dei movimenti sta nella cittadinanza insorgente e nei diritti sociali

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Hollande ha aperto il nuovo anno con un outing pubblico che i giornali francesi non hanno recepito. Non stiamo parlando delle vicissitudini circa la sua vita sentimentale, ben narrate da tutti i media, ma di ciò che inizialmente è passato quasi inosservato. L'outing a cui mi riferisco è la sua spudorata dichiarazione del suo orientamento politico: ha ammesso, proprio durante la presentazione del suo patto di responsabilità, di essere un “moderato social-democratico”, termine che subito dopo la sua entrata all'Eliseo aveva sempre rifiutato. Benché fosse ormai evidente l'allineamento di Hollande alla Troika europea, mai in Francia si era parlato di aperta e diretta austerità e di intervento drastico nel mondo del lavoro, con l'abbassamento dei suoi costi e la riduzione delle sue tutele.

Da questo passaggio non secondario, riguardante uno dei paesi portanti dell'economia dell'Eurozona, si può provare a fare delle considerazioni sull'Europa. Dagli ultimi dati, sembra che la riorganizzazione dei mercati finanziari europei stia intraprendendo la via della deflazione. Molti economisti – dichiaratamente liberal – vedono infatti il pericolo della deflazione alle porte dalle nuove misure in materia economica del continente.

Per quanto riguarda questo meccanismo, possiamo dire che ci sono due punti di vista, uno oggettivo e uno soggettivo, che è necessario tener presente al fine di comprendere la fase dello spazio europeo e, da questi termini, carpire le possibilità per un agire politico dei movimenti.

Il punto di vista oggettivo riconosce dei meccanismi di causa-effetto dell'abbassamento dei prezzi a livello macro-economico. La deflazione ha solitamente origine subito dopo un periodo di recessione durante la quale è caduta la domanda di beni di consumo (In Italia, ad esempio, è successo con la perdita del 5% del potere d'acquisto familiare, la disoccupazione giovanile al 41%, il 40,7% dei redditi che non superano i 20.000 euro annui). Nel tentativo di innestare nuovamente la domanda, si iniziano ad abbassare i prezzi, creando però un circolo vizioso poco redditizio per le entrate: i consumatori aspettano a comprare nel tentativo di avere un prezzo sempre più basso. A causa di ciò, quasi tutti gli specialisti concordano sul fatto che, andando ad intaccare i prezzi, si scatena l'evidente rischio di alzare il valore dei debiti sovrani: le obbligazioni contratte prima e dopo lo scoppio della crisi del 2008 non hanno un'indicizzazione sulla base del movimento dei prezzi, per cui a minor entrate i flussi di credito sanatori che lo Stato deve elargire aumentano sempre di più. Tutti i presagi della deflazione sono da scongiurare perché non permettono quella oscillazione costante dei prezzi tanto cara all'ordoliberalismo. Quindi, perché la governance europea non starebbe contrastando questo processo? Sempre con uno sguardo oggettivo – che è quello della scienza economica codificato, fatta di rapporti di forza tra valori e sistemi – il fine sembra essere la competitività. Cosa significa competere? Semplificando, significa essere attrattivi sia per la qualità-quantità che per i prezzi sul mercato.

Ed è qui che entra con forza il punto di vista soggettivo: quali sono gli effetti sul lavoro vivo di una politica deflazionista e competitiva? Anche i liberal più illuminati sembrano non volerne parlare chiaramente. Quella che viene taciuta è la continuità tra tendenze economiche di questo tipo e la produzione di soggettività, disciplinamento e comando che ne deriva. L'abbassamento dei prezzi trova infatti la sua possibilità solo nella connessione al prezzo del lavoro: è solo attaccando i salari, e tutte le tutele previste dal welfare, che si può avere la deflazione. Con una forza-lavoro ancor più ricattabile e sfruttabile, è possibile rilanciare la valorizzazione capitalista per accumulare nuove ricchezze e seguire coerentemente il principio della competizione come strumento di regolazione del mercato e delle vite, da cui si dovrebbe innestare la crescita. L'euro esprime così con forza il comando sul lavoro vivo al fine di permettergli di essere una moneta competitiva all'interno del capitale globale, nella fattispecie nello “spazio atlantico” occidentale la cui costituzione è in corso con , tra tutto, il TTIP.

Le leggi “naturali” del mercato, che vanno solo stimolate inserendovi degli elementi affinché si stabilizzino da sole, sembra debbano prendere questa piega piuttosto che il refrain quinquennale dell'austerità. Come illustra il contributo dei compagni di Napoli, la “morula neoliberale” ha realmente bisogno di avviare una fase di crescita, per cui davvero “ i più grandi nemici dell'austerity siedono in parlamento”. La recessione ha danneggiato l'accumulo della ricchezza nelle mani dei mercati e delle lobby finanziere che adesso hanno bisogno di rilanciare l'economia, trovando nuovi dispositivi di valorizzazione al di là delle privatizzazioni delle utilities pubbliche. Questo non significa che le politiche di austerità spariscano, anzi: l'essere-morula del capitale può tenere assieme questi due dispositivi, facendoli risultare complementari. L'ha spiegato bene il Commissario Rehn all'Italia, dicendo che bisogna continuare con le privatizzazioni, ma soprattutto con la flessibilità lavorativa. Infatti, per quanto si continuerà a tagliare sulla spesa pubblica, non si può escludere il fatto che adesso ci sia il tentativo di ricreare occupazione, di produrre posti di lavoro facendo perno sugli effetti creati dell'austerità: a partire dalla mancanza di garanzie e welfare universale, il disciplinamento delle soggettività del lavoro vivo passerà in modo ancor più efficace attraverso queste politiche e strategie di “crescita”.

Le scelte su scala europea fatte in merito dal punto di vista legislativo sembrano parlare chiaro. Il “blocco europeo” neoliberale, al contrario delle estreme destre e dei populismi, sta proprio cercando di risanare quella che potremmo chiamare – con Foucault – la “demoltiplicazione della forma impresa”. Se la forma di vita tipica del neoliberalismo si è deteriorata in questi anni di crisi, l'attacco ai diritti sociali sembra essere il modo per ristabilirla. Il patto di responsabilità in Francia contro la disoccupazione, il Jobs Act renziano, il modello lavorativo tedesco, si inseriscono nella logica di creare posti di lavoro a breve termine grazie all'intensificazione delle condizioni di sfruttamento. “Flessibilità di entrata/uscita” e “inserimenti a tutele garantite” vogliono rendere ricattabili i lavoratori, sgravare le imprese dagli impianti tutelari che hanno al solo fine di avere i licenziamenti più facili; attraverso la competizione retoricamente formata con la meritocrazia, indurre le persone a tempi, retribuzione e modalità di lavoro avversi. Per non parlare poi delle difficoltà di (auto)organizzazione che sono insite in questo tipo di rapporto e la restrizione in sé dei diritti sindacali. L'individuo economicus è la figura chiave che deve essere soggettivata grazie a tutti questi processi, ossia chi è in grado di poter gestire le sue competenze in maniera continuativa e seguire i processi di mutazione del mercato, nella fattispecie la precarietà, nonché di provvedere a se stesso rispetto alla riproduzione sociale (ora che abbiamo detto addio al welfare universale).

Sebbene i diritti sociali vengano erosi, per poter sostenere questo processo è necessario un sistema di diritti che produca della libertà individuali. Non sembra un caso che in Europa i governi del “blocco neoliberale” abbiano iniziato a conferire o a parlare di diritti civili (last but not least, il Pd dell'uomo delle larghe intese Renzi): aperture nei confronti della cittadinanza, matrimoni tra persone dello stesso sesso, istituzione di un reddito minimo (lavorista), diritto al lavoro, ecc, possono essere inseriti tra quelli che si chiamano diritti civili. Ora, per quanto alcuni di questi siano a tutti gli effetti degli atti di civiltà, e abbiano anche delle basi rivendicative di movimento, è necessario vederli dal punto di vista della governance e in un'ottica generale.

Da una parte, sono funzionali alla creazione dell'individuo economico garantendogli delle libertà personali dalle quali sia possibile soggettivare ed estrarre valore. L'inclusione di più persone all'interno del patto post-fordista, la valorizzazione delle conoscenze e dei linguaggi più diversi, permettono di avere una forza-lavoro più trasversale; per fare questo, c'è bisogno che una serie di misure facciano in modo che gli individui abbiano delle garanzie, dal matrimonio alla cittadinanza, funzionali a imporre la forma-impresa per riavviare il mercato (gestione familiare, reddito di inserimento, consumo).

Dall'altra, la retorica vuota dei diritti civili conferiti può essere una briglia per il conflitto sociale. Creando delle nuove libertà, calibrate sulla misura-individuo, si cerca di velare la questione sociale che riguarda la dimensione collettiva, impedendo la deflagrazione dei conflitti: l'importante è che queste libertà siano sempre veicolate, non vadano a toccare dei nodi che possono far emergere delle contraddizioni strutturali.

Che fare? La risposta sta nell'organizzazione e nelle sperimentazioni dei movimenti in Europa. Contro i discorsi dominanti della governance, è necessario produrre dei diritti che siano sempre sociali, contro la dicotomia civili-sociali neoliberale tutta funzionale all'assoggettamento. L'attacco al lavoro va connesso con l'erosione del diritto alla salute, all'inclusione differenziale della cittadinanza e alle diverse forme di riconoscimento delle affettività, al reddito garantito per tutti sganciato dalla prestazione lavorativa. E' necessario quella “cittadinanza insorgente”, per dirlo con Balibar, dove l'agire politico e la capacità decisionale sono i vettori per ristabilire una dimensione collettiva – della moltitudine per sé – che estende i diritti sociali nell'accezione di spazi conquistati da pratiche di libertà.

Guillermo Calvo, del The Economsit, prega affinché il G20 trovi una soluzione per non far scoppiare movimenti sociali a causa della deflazione. Si dimentica da che parte sta la relazione logica: l'unico modo per impedire le imposizioni della deflazione, e forzare i limiti dell'esistente, sta proprio nel conflitto.

di Fabio Mengali