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Scorciatoie pericolose

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Quella che si vede in allegato è l'immagine di un manifesto di propaganda edito dal NSDAP (Partito nazional-socialista dei lavoratori tedeschi) nel 1932. “Morte ai bugiardi”, recita la scritta a caratteri cubitali; un anticapitalismo di basso livello volto a denunciare mentitori e corrotti (gli uomini politici della Repubblica di Weimar), l'alta finanza (Hochfinanz), le tasse del “capitale rapace” (che si oppone al capitale buono che crea posti di lavoro) ed il marxismo (scienza ebrea, per i nazisti). Dal XX al XXI secolo: dal nazismo … alla denuncia della “oligarchia finanziaria” o del “capitalismo da casinò”. Un facile capro espiatorio che possa servire da grande teoria critica al piccolo altercapitalismo di sinistra.

Negli anni novanta è stato proclamato il trionfo oramai mondiale e definitivo dell'economia di mercato – al punto che alcuni dei suoi apologeti ritenevano che non fosse nemmeno più necessario utilizzare degli eufemismi, riprendendo come una sfida il nome “capitalismo”, per lungo tempo vituperato, per farne l'elogio. Ma in capo ad una dozzina d'anni, con lo scoppio delle bolle speculative e con l'inizio del movimento altermondialista, il vento cominciò a girare.

A partire dalla crisi del 2008, la critica del “capitalismo” si è di nuovo impadronita dello spirito e, talvolta, delle strade, Gli “indignati” e “Occupy Wall Street” sono stati emulati in tutto il mondo. In numerosi paesi, soprattutto negli Stati Uniti e in Spagna, si sono formati i più importanti movimenti sociali, dopo decenni. Nella sinistra radicale, alcuni hanno guardato più in là, vedendo nelle rivolte delle “primavere arabe” i segni premonitori della prossima rivoluzione mondiale. Ma al di là delle proteste organizzate, è nei media ufficiali e nei discorsi del caffè del commercio che ci si continua a porre la domanda: bisogna “limitare” il capitalismo? Quello che sta attraversando è perciò – è il minimo che si possa dire – una “crisi di legittimità”?

Ma cosa viene rimproverato al capitalismo? Come tutti sanno, questo nuovo “spirito anticapitalista” ha principalmente due bersagli: la finanziarizzazione dell'economia e la rapacità di una “élite” economica e politica totalmente scollegata dall'immensa maggioranza della popolazione. Su un piano più generale, si sottolineano anche le ineguaglianze sempre più crescenti a livello di reddito ed il deterioramento delle condizioni lavorative – però attribuendoli, come tutti gli altri mali sociali, alla finanza e alla corruzione.

Si può facilmente obiettare che qui non si tratta di una critica del capitalismo, ma solamente della sua forma più estrema: il neoliberismo. In effetti, l'anticapitalismo attuale (nel senso più ampio) chiede soprattutto il rafforzamento dei poteri pubblici, l'adozione di politiche economiche keynesiane (programmi di rilancio dell'economia invece del salvataggio delle banche) e la salvaguardia dello Stato-provvidenza. I marxisti tradizionali chiamerebbero tutto questo una critica della “sfera della circolazione”. Sottolineando che la finanza ed il commercio, così come l'intervento dello Stato, non producono valore ma si limitano a distribuirlo e a farlo circolare.

Bisogna riferirsi – dicono – alla sfera della produzione, dove il profitto nasce dallo sfruttamento dei lavoratori, la qual cosa è resa possibile dalla proprietà privata dei mezzi di produzione. Ora, gli “indignati” ed i vari “occupy” tengono raramente conto di questo. Ma anche se lo facessero, non sarebbe ancora sufficiente: Marx ha dimostrato – anche se i marxisti lo hanno dimenticato in fretta – che la proprietà privata dei mezzi di produzione è, essa stessa, la conseguenza del fatto che, nel capitalismo – e solamente nel capitalismo -, l'attività sociale prende la forma della merce e del valore, del denaro e del lavoro astratto. Un vero superamento del capitalismo non può essere concepito senza la liberazione da tali categorie.

I movimenti sociali di cui si sta parlando non amano troppo le discussioni teoriche. Ai loro occhi, esse minano l'unità e l'armonia così tanto ricercata. Quel che conta è il “tutti insieme”. Nelle assemblee, per il bene della democrazia, nessuno può parlare per più di due minuti. Un movimento come “Occupy Wall Street”, forte dell'appoggio, o della “comprensione”, di Barack Obama e della “guida” iraniana Khamenei, della presidentessa brasiliana Dilma Roussef, dell'ex-primo ministro inglese Gordon Brown e del presidente venezuelano Chavez, per non parlare di alcuni banchieri come George Soros, di diversi premi nobel per l'economia e di uomini politici del partito repubblicano; un tale movimento non può perdersi dietro sottigliezze dogmatiche. Ed i teorici di sinistra accorrono a dar loro ragione: attaccare le borse e le banche – dicono – costituisce già un buon inizio.

Davvero? Ogni critica del capitalismo è necessariamente di sinistra e viene pronunciata in nome dell'emancipazione sociale? Non esiste un anticapitalismo populista e di destra? Ci si sbaglia, identificando la “destra” esclusivamente con la destra liberale, quella che sostiene tutto il potere ai mercati e l'individualismo sfrenato in campo economico. Da quando la destra e la sinistra esistono – cioè a dire dalla Rivoluzione francese – si è sempre visto rappresentanti della destra che denunciavano certi aspetti del capitalismo. Ma sempre in maniera parziale, e soprattutto con lo scopo di canalizzare la rabbia delle vittime del capitalismo verso certe persone e verso certi gruppi sociali, cui viene attribuita la responsabilità della miseria.

In tal modo, questi uomini di destra mettono le fondamenta del sistema al riparo da qualsiasi contestazione. Così avvenne con gli slogan anticapitalisti che portarono Hitler al potere, nel mezzo delle più grave crisi del capitalismo del ventesimo secolo. Troppo spesso si dimentica che l'acronimo NSDAP sta per “Partito nazional-socialista degli operai tedeschi”, e che i fascisti amano fare dichiarazioni roboanti contro la “plutocrazia occidentale”, contro “l'alta finanza” e contro “Wall Street”.

Le spiegazioni offerte dall'estrema destra attirano una parte delle vittime della crisi, perché sembrano loro spiegazioni ovvie. Si concentrano quasi sempre sul ruolo svolto dal denaro. Ieri era la classe degli “usurai”, oggi quella degli “speculatori”. “Rompere la schiavitù dei tassi d'interesse”: ecco quello che potrebbe essere uno slogan del “movimento di occupy”. A dire il vero, è stato uno dei principali punti programmatici del partito nazista, ai suoi inizi.

Marx ha dimostrato che il denaro è il rappresentante della parte “astratta” e quantitativa del lavoro, che il denaro è una merce e che è normale, nel capitalismo, che venga pagato, come avviene per tutte le merci, un prezzo per il suo utilizzo (l'interesse). Ora, nella retorica anticapitalista di destra (comunque sempre ipocrita e mai messa in pratica quando la destra è al potere), il lavoro ed il lavoratori vengono santificati (per inciso, la destra conta fra i lavoratori anche i “capitalisti creatori”, quelli che investono il loro capitale nella produzione reale “al servizio della comunità” e creano posti di lavoro). Il capitale monetario, invece, sarebbe il campo dominato dai “parassiti” egoisti che sfruttano gli onesti lavoratori e gli onesti capitalisti, prestando loro il denaro – i nazisti lo chiamavano il “capitale rapace”. Quest'identificazione di tutti i mali del capitalismo con il denaro e le banche ha una lunga storia e inevitabilmente impatta con l'antisemitismo. Ed anche oggi, la descrizione degli speculatori si richiama implicitamente, e perfino esplicitamente, a degli stereotipi antisemiti. L'odio nei confronti dei “politici corrotti” non manca certo di fondamento – ma quando lo si assolutizza, finisce per scambiare il sintomo per la causa e viene attribuita alla cattiva volontà soggettiva di alcuni attori quello che è dovuto a dei vincoli sistemici i quali vengono totalmente ignorati. L'identificazione unilaterale del capitalismo con “l'imperialismo americano” procede nella stessa direzione e sovente mette insieme attivisti di sinistra e di estrema destra.

Nei movimenti sociali degli anni '60 e '70 del secolo scorso, questa confusione fra contenuti di sinistra e di destra sarebbe stata inimmaginabile. Oggi, capita di raccattare volantini, distribuiti nel corso di eventi, in cui solo le sigle delle organizzazioni che li firmano ci fanno capire se sono di un gruppo di sinistra o di estrema destra. In effetti, la sinistra ha grandi difficoltà a distinguersi dalla destra, per tutto quello che riguarda la critica della finanza. Essa ha mal assimilato Marx, quando questi ha dimostrato che la finanza è una semplice conseguenza della logica di mercato e del lavoro astratto.

Ha seguito, piuttosto, spesso senza ammetterlo, la critica del denaro proposta da Proudhon. La sinistra ha scelto, come fece Lenin, il “capitalismo finanziario” come facile bersaglio dei suoi attacchi, anziché criticare il lavoro in sé. Se oggi ci si accontenta di attaccare le banche ed i mercati finanziari, si rischia non solo di non fare un solo “primo passo” nella giusta direzione, ma di pervenire ad una designazione dei “colpevoli” e di aiutare a conservare un ordine socio-economico che pochi oggi hanno il coraggio di mettere veramente in discussione.

Il numero di gruppi di estrema destra che pretendono di essere anticapitalisti è ancora piccolo, in Francia. Ma la Grecia ha mostrato che, in tempi di crisi, tali gruppi possono incrementare in modo esponenziale l'adesione al loro programma, in poco tempo. Il grande rischio è che i loro argomenti comincino a diffondersi fra i manifestanti, che hanno certamente le migliori intenzioni del mondo, ma che sembrano incapaci di vedere dove riesce a portare la confusione fra critica della finanza e critica del capitalismo.

di Anselm Jappe